La festa degli Spampanati
Retaggio di antiche tradizioni devozionali, la processione della Madonna e del Cristo Risorto che si svolge la mattina della domenica di Pasqua, con partenza dalla chiesa di Maria SS. della Mercede in via Tommaso Cannizzaro, s’inserisce nel novero di una festa che in passato prendeva il nome degli “Spampanati”. Il motivo era quello che le popolane del rione (denominato “Portalegni” per via dell’antico “Jus lignandi” che qui esercitava la Curia Arcivescovile) facevano fra loro a gara nello sfoggio di coloratissimi indumenti sgargianti. Questa caratteristica policromia dell’abbigliamento femminile, dovuta all’antica usanza che avevano le donne del rione di salutare la Pasqua e la primavera smettendo gli abiti pesanti ed indossando i primi vestiti di cotone o di seta multicolori, spesse volte di gusto pacchiano e di sapore moresco, conferiva il nome alla festa.
“Spampanate”, infatti, apparivano così vestite le popolane agli occhi dei numerosi fedeli qui convenuti dalla città o “scasati di quarantottu casali”.
Un tempo, di fronte e attorno alla chiesa, si assiepavano i banconi dei venditori di “giaurrina longa menza canna”(impasto di farina, miele ed essenze aromatiche) che, ad alta voce e con le vene gonfie sul collo abbronzato, “banniavano” (urlavano) con araba nenia la loro merce “sapurita e ianca comu ‘a cira”,(saporita e bianca come la cera) in rispetto all’antica etica professionale che dice: “’A robba banniata è menza vinnuta” (la merce urlata è mezza venduta).
Il clou della festa degli “Spampanati”, allora come oggi, è costituito dalla processione delle statue policrome di Maria e di Gesù Risorto, curata egregiamente dalla Confraternita di S. Maria della Mercede in S. Valentino. Una processione di vetuste origini se già nel 1644 Placido Samperi, nella sua “Iconologia della Gloriosa Vergine Maria” la descrive con gustose citazioni dei particolari: “Si vede parimenti nella cappella sfondata dalla parte destra una bellissima statua della Madonna della Mercè, la quale si porta in solenne processione dalla Confraternita, da qualche tempo in qua già riconciliata, nella mattina della Pasca di Resurrettione, facendosi il trionfale incontro col Signore Risuscitato, a suon di trombe e di musiche, col festivo rimbombo d’ Archibugi, di mortaretti e di Artegliarie nell’ampio piano del Duomo”. Il corteo, che rievoca la “cerca” della Madonna del suo Figlio risorto e che si conclude con l’incontro (“la giunta” ), si è mantenuto intatto fino ai nostri giorni, con l’unica variante del luogo d’incontro. Gaetano La Corte Cailler, in un suo scritto del 1914, così descrive il momento culminante della sacra rappresentazione: “Le due statue adunque che si recano nella processione qui ricordata rappresentano l’una la Madonna ammantata di nero e l’altra il Cristo risorto. Nel Duomo, intanto, c’è la grande funzione di Pasqua alla quale assisteva in forma solenne il Magistrato cittadino, cioè il Senato: terminata la funzione, le due statue si incontravano nella piazza finalmente … La Madonna, nel riconoscere il Figlio, butta giù il manto di lutto, e da quel manto escon fuori molti uccelletti, allegri per l’ottenuta libertà. Le due statue quindi percorrono lietamente le vie, accompagnate da musiche inneggianti alla resurrezione del Signore, e poi tornano in chiesa, a Portalegni, per dormirvi il sonno di un altro anno”.